sabato 21 settembre 2013

In Coda


Anastasia era seduta in macchina, da sola, ferma in coda da mezz'ora. Aveva passato i primi dieci minuti a truccarsi, ma poi l'attesa si era prolungata in maniera esasperante.
- Dai cazzo, sono le otto, sono in ritardo fottuto! -
Colpì  il clacson una volta con il palmo aperto e poi ancora, come se pronunciando quelle parole ne avesse preso maggior consapevolezza, alimentando la sua stessa ira.
- Porca puttana! Ma chi è quel coglione che ha tamponato a quest’ora del mattino?!? Ma stattene a letto invece di rovinare la giornata agli altri, eccheccazzo! -
Al suono del suo clacson se ne aggiunsero altri, come un’eco si propagò lungo le due file d’auto.
Nel furgone alla destra di Anastasia era seduto un uomo, tarchiato, con la sigaretta accesa in bocca e il braccio fuori dal finestrino, anch’egli era evidentemente alterato per quella coda che non sembrava avere fine. L’autoradio dell'uomo trasmetteva il messaggio di un noto personaggio politico, la cui voce impostata e melliflua cercava di convincere gli ascoltatori che i milioni di euro frodati allo stato e le accuse comprovate di corruzione erano falsità dei magistrati.
- Ma vaffanculo! -
L’uomo colpì la radio a pugno chiuso, l’afferrò con le mani, da entrambi i lati, la tirò verso di sé con diversi strattoni fino ad estrarla, rompendo il supporto di plastica e spezzando i collegamenti elettrici posteriori, e la scaraventò fuori.
Anastasia vide l’oggetto uscire dal finestrino del furgone, come al rallentatore, ne tracciò la traiettoria immaginaria, non v'era alcun dubbio che sarebbe finito sul suo parabrezza! Proprio in quel momento uno scouter stava passando tra le vetture a velocità sostenuta, il conducente prese l’autoradio in pieno viso, sbandò e cadde sulla fiancata di una macchina.
La gente cominciò a uscire dalle auto ma, invece di aiutare il poveretto, cominciò ad aggredirlo.
- Pezzo di merda, guarda che hai fatto! -
- Ma guarda sto deficiente - disse una signora - sicuramente un immigrato! -
- Drogato! - sbottò un vecchio.
L’uomo tarchiato, per non essere individuato come causa del problema, si era subito unito agli altri uscendo dal veicolo; in piedi, vicino allo sportello aperto, cominciò pure lui a gridare.
- Eccone un altro! Ma cos’è oggi, la giornata degli imbecilli? -
Anastasia guardò l’uomo, che ricambiò lo sguardo con un sorriso di sfida.
- Cazzo hai da guardare? -
La donna non reagì. Guardò il ragazzo poco più avanti alzarsi da terra, senza l’aiuto di nessuno; solo l’autista del mezzo danneggiato gli era vicino, per gridargli la propria frustrazione.
Anastasia si calmò, affondò nel sedile, si limitò a guardare davanti a sé un punto del cielo in cui non v'era nulla. Solo il cielo grigio di un autunno alle porte.
-  Mondo di merda. -

sabato 14 settembre 2013

L'ubriacone di via Dè Coltelli


Nel centro di Bologna, all’angolo tra via dei Coltelli e via Orfeo, c’è il bar di Mike e Max.
Io abito poco distante. Il brusio proveniente dal locale, in prevalenza di studenti universitari, è un costante sottofondo a cui mi sono abituato nelle serate estive, un sottofondo che ho sempre gradito per la sua vivacità. Io stesso mi sono ritrovato in mezzo alla gioiosa spensieratezza del posto, diventando parte di quel complesso miscuglio di parole sovrapposte, sempre uguale ma sempre diverso. Una macchina macina vite in perenne funzionamento, un luogo dove amori iniziano e finiscono, dove le risate e i pianti si alternano nel mio dormiveglia.
Hic!
Tra gli schiamazzi serali spesso si erge una voce inconfondibile: è l’ubriacone di Mike e Max.
E’ un attempato signore con una grossa pancia gonfia, vestito di abiti vecchi e logori. Ha pochi capelli. Zoppica. Sul viso tondeggiante, al posto degli occhi, sono piazzate due fessure da cui tutto vede e tutti osserva. Questa sua attenzione non è immotivata. Ha creato un sistema per poter bere a scrocco: individua i bicchieri vuoti lasciati sui tavolini e li porta al banco dove, di tanto in tanto, riceve in cambio un calice con due dita di vino.
E’ una forma di mutualismo equiparabile a quella che si viene a creare tra il coccodrillo del Nilo e il piviere egiziano, un piccolo uccello che pulisce i denti del rettile mangiando avanzi e parassiti, mentre questo rimane con le fauci spalancate. Entrambi ne traggono beneficio. Che sia vera, questa del coccodrillo, non posso testimoniarlo; è invece reale il risultato di anni di convivenza tra due pilastri fondamentali della nostra società: il barista e il bevitore.
Per questo motivo l’ubriacone è sempre guardingo: con un occhio osserva un paio di avventori che stanno parlando di donne, si intromette nella conversazione e partecipa allegramente, mentre con l’altro non perde di vista un bicchiere ormai prossimo alla fine.
« Mi ero addormentato su una panchina, qua all’entrata dei giardini Margherita, quando... scusatemi » interrompe l’aneddoto e prende il bicchiere vuoto, si allontana, lo porta al banco e torna sorridente con un bicchiere di vino, riprendendo il discorso come se mai l’avesse abbandonato « quando apro gli occhi e vedo una donna con il più bel... »
Hic!
Tutti i bar degni di tale nome, da via del Pratello a via Zamboni, hanno un loro personaggio storico e questo è senz’altro uno dei più grotteschi e caratteristici dell’intera città.
Vederlo è tranquillizzante, l’atmosfera è più calda e festaiola; certo, la sua presenza è spesso ingombrante e il suo alito spaventoso, ma è la controparte che tutti, tacitamente, sanno deve essere accettata per poter stare nel quadretto e attingere alla saggezza popolare che non manca mai di dispensare a chi vuole starlo a sentire.
« Bevo dunque sono. » Come puoi non amare una persona così? La sua voce è sgraziata, biascica come gli ubriachi non possono impedirsi di fare, però non perde mai né il filo dei pensieri né la lucidità per esprimerli.
« Bere è un piacere. Tu non sai cosa significa bere » sono io, questa volta, il malcapitato di turno. Sorrido mio malgrado.
« Tu trovi divertente alcolizzarsi con gli amici, bevendo spritz, facendo “l’aperitivo”, ma in realtà sei un cazzone! » Applauso degli amici vicini che esplodono in un risata collettiva.
« Il motivo per il quale Dio ti farà finire nel girone dei cazzoni, è che... Non, Sai, Bere » sorrido un po’ meno ma so che, prima o poi, tocca a tutti passare per il giudizio del sommo. D’altro canto, il sommo, sa anche quando fermarsi, quando esagerare, quanto scherzare e con chi. Capisce chi ha il senso dell’umorismo, non sceglie a caso. Cerco di consolarmi pensando questo, mentre continua.
« Il barbone che si alcolizza, per esempio, lo fa per anestetizzare il mondo attorno a sè. Per lui non è un piacere, il bere, è una necessità per spegnere chi gli sta attorno » l’attenzione degli astanti, dopo aver udito la parola ‘anestetizzare’ pronunciata senza esitazioni o balbettii, è ora massima. « Motivazione comprensibile ma che non lo giustifica, perchè bere è un atto sacro, non un modo per sfuggire alla realtà. » Applauso dei ragazzi circostanti che sono aumentati, una dozzina in tutto.
« Io non voglio spingere nessuno a bere, io stesso affermo che non è necessario bere e che spesso è deleterio » il tono che stava scemando ora aumenta di intensità e colore « ma è deleterio per chi non sa come si beve e io giungo tra voi, come agnello tra i lupi, per portare la lieta novella! » Il pubblico impazzisce e ridacchia stupidamente per la parodia blasfema.
L’ubriacone si allontana dal gruppo, prende i bicchieri vuoti dalle mani di due ragazze, che ringraziano, un altro calice vuoto che era appoggiato su un tavolino, e li porta al bancone. Poi, lentamente, senza fretta, nel suo incedere zoppicante, ritorna nel gruppetto che si zittisce non appena riattacca a declamare.
Hic!
« Punto primo: cosa bere. Birra, vino rosso, ammazzacaffè. » Li enumera con le dita. « Il resto è roba da frocetti. Con tutto il rispetto per i frocetti, che se poi... vogliono farlo tra loro, affar loro eh » a volte apre parentesi per nulla condivisibili, mancando di rispetto a categorie, etnie, religioni, popoli vicini e lontani, agli immigrati, agli italiani, ai vecchi e ai giovani, in generale a chiunque respiri su questo pianeta o vi abbia lasciato traccia o vi arriverà un giorno. Memorabile quella serata in cui si dilungò per spiegare come, secondo lui, “i Maya sono stati le più grandi teste di cazzo della storia”. Durante queste parentesi perde qualche ascoltatore che non capisce quale importanza dare a quali parole, dimenticando davanti a chi si trova: un alcolista che dispensa la propria filosofia molto discutibile, in maniera molto ignorante. Ascoltare un ubriacone esigendo non dica nulla di scorretto, è come restare sotto la pioggia senza ombrello e pretendere di non bagnarsi. Qualcuno si allontana mormorando critiche, mentre lui, intanto, continua noncurante.
« Puoi bere uno spritz per dissetarti in estate, o dopo una corsa, o per rimorchiare una da portarti a letto. » enumera come un professore alla cattedra « No, niente cocktails. Se infili un ombrellino nel bicchiere, non stai bevendo seriamente: stai preparando una scenografia per un film del cazzo. »
Ai più giovani piace. Turpiloquio e aforismi improvvisati. Alcuni politici ci campano.
« Ve li ripeto: birra, vino rosso, ammazzacaffè. »
« E se a qualcuno non piacesse nessuno dei tre? » osa chiedere un ragazzo.
« Conosco alcuni a cui non piace la birra e qualcuno a cui non piace il vino rosso, » risponde prontamente, « nessuno è perfetto. Non allontanarli come l’istinto suggerirebbe ma sappi perdonare. Digli di procedere con quello che gli piace: birra o vino rosso. Se non ti piace nessuno dei due... Per Dio, ti prego sparisci! » Risate dei ragazzi.
Hic!
« Punto secondo: come bere. » Riprende a guardarmi , rivolgendosi a me solo. Tanto mi aveva tolto prima, con l’insulto, tanto ora mi rende, elevandomi a unico spettatore meritevole.
« Arrivi a casa dal lavoro e ti fai un paio di birre. E’ la soluzione al novanta per cento di tutti i tuoi problemi ma è anche la causa di un dieci per cento che prima non c’era. Fatti due conti e vedi se ne vale la pena. No, ragazzo, non li devi fare ora, i due conti. Certo che ne vale la pena! »
I presenti sogghignano, una ragazza carina si intrufola e mi prende a braccetto, è un’amica che non incontravo da tempo. La saluto con due baci sulle guance, poi torno con lei ad ascoltare.
« Dopo la birra, continui sempre a birra. Oppure passi a vino rosso. »
« E il vino bianco? » domando, ingenuamente.
« Il vino bianco lo dai al tuo cane. » Aspetta che le risatine si plachino e riprende « Poi vai a cena e se eri a birra passi a vino rosso, altrimenti resti a vino rosso. Non è difficile, dai, sforzati per Dio! » mi squote la spalla ma io rimango come imbambolato. La ragazza, come per controbilanciare il karma, mi bacia sulla guancia. Faccio finta di niente ma mi sento un po’ imbarazzato, mentre gli amici vicini mi danno pacche sulle spalle e gomitate nei fianchi.
« Finisci la cena con un ammazzacaffè, uno a scelta tra: amaro, limoncello, nocino, mirto, grappa o liquori fatti in casa. Uno, ho detto. Non di più. Alcolizzarsi con l’ammazzacaffè vuol dire non aver capito un cazzo. » Alcuni annuiscono timidamente, ricordando sbronze recenti.
« Infine, se vuoi continuare a bere anche dopo cena, scegli: birra o vino. »
« Ancora? » domanda uno dei ragazzi seriamente incuriosito.
« Ancora » risponde con una smorfia l’ubriacone, sbeffeggiante, poi continua « ma solo uno dei due. E procedi con quello finché ti reggi in piedi. » Detto questo si allontana, passa vicino ad alcuni tavoli, prende un mezzo bicchiere di vino rosso abbandonato e lo tracanna, poi prende altri due bicchieri vuoti, li porta al bancone e torna indietro per continuare il sermone.
« Punto terzo! » suggerisce qualcuno.
Hic!
« Punto terzo: quando sei ubriaco, sei tu! » I ragazzi ascoltano ipnotizzati, l’ubriacone ha ripreso il proprio posto e mi parla; io mi ero perso negli occhi della tipa, mi ridesto alle sue parole e rientro nella parte di involontario interlocutore.
« Se diventi un’altra persona, insopportabile, che litiga con tutti, che fa a pugni, che si scopa le ragazze degli amici, voglio tu sappia le seguenti cose » comincia a enumerare con le dita, utilizzando questa volta le lettere anziché i numeri.
« ‘A’. Il bere non ti trasforma: elimina le inibizioni e ti fa divenire ciò che sei veramente, se non ti piace ciò che sei allora smetti di bere e rimani nascosto per il resto della tua vita.
« ‘B’. Forse litigare con tutti è la cosa più bella che ti potesse accadere: in fondo, non ti stanno tutti sulle palle?
« ‘C’. Le ragazze dei tuoi amici stanno assieme ai tuoi amici, non sei tu ad aver stretto un rapporto che impone la monogamia, quindi non è colpa tua se sono zoccole » applauso dei maschi che ridono rumorosamente, mentre un paio di ragazze scuotono la testa « ma vale anche il contrario » rivolgendosi alle femmine « quindi non è colpa vostra se vi mettete con degli stronzetti che poi vi tradiscono » applauso e ovazione generale per l’esposizione che non aveva lasciato a nessuno il tempo di reagire in alcun modo.
« Ma che vuol dire che “quando sei ubriaco sei tu?” » chiedo candidamente.
« Vuol dire che il vero bevitore quando è ubriaco è se stesso, è normale, tutti lo conoscono per quello che è proprio in quello stato. Quando è sobrio magari è più taciturno. Ma se cambia personalità, chi beve, vuol dire che prima stava fingendo! »
« E’ proprio così… » dice qualcuno. « Non ne sono del tutto convinto » dice un altro.
Il filosofo alcolista riprende senza ascoltare il brusio circostante.
« Bere è importante per eliminare la finzione, la timidezza, le paure, ma come in tutte le cose ha bisogno di moderazione. Ho ragione o no? »
« Sì! » rispondono in coro i ragazzi affascinati da tale insospettabile magnificienza.
« E ora » conclude guardandomi « non merito forse che qualcuno mi offra un calice di rosso? »
La ragazza mi guarda ammirata, ma non capisco, non ho fatto niente se non fungere da spalla al predicatore etilico. Non mi sembra di aver compiuto nulla che meriti tante attenzioni da parte della bella amica. Eppure lei è lì, a stringermi il braccio contro il proprio seno.
Essere al centro di qualcosa di insensato, ha senso? Chissà.
« Te lo offro io. »
Hic!
E così finisce un’altra serata nel cuore di Bologna.
I ragazzi tornano a casa contenti e brilli, con il ricordo sfocato di ore passate con leggerezza.
Una coppia si bacia, vicino a un lampione, nell’ombra del portico di via Dè Coltelli.
L’ubriacone si lascia andare a un paio di grasse risate che riecheggiano lungo la via deserta fino ad entrare dalla mia finestra, che chiudo, lasciando la camera in penombra.
Poi sorrido, sotto le coperte, penso al giorno che finisce, senza ricercare una morale particolare, e m’addormento.