giovedì 21 febbraio 2013

"Born to Run" cap 7,8,9 di 12

7.
C’è da dire tanto altro.
Mi faccio coraggio e decido di non lasciar perdere.
“E’ strana questa situazione.”
“Quale?” chiede Sonia senza troppa convinzione.
“Che ci vediamo solo il pomeriggio per correre un po’ assieme.”
Non replica, corre guardando davanti a sè. Io allora riprendo.
“Non ho doppi fini, non voglio fare... quello. Cioè, sì, voglio farlo ma è presto.”
“Ma tu sei proprio scemo!” arrossiamo entrambi.
Sorridiamo ma non riusciamo più a dir nulla, siamo consapevoli che succederà, prima o poi, non abbiamo fretta ma sentiamo che il desiderio di stare assieme cresce, giorno dopo giorno. Il desiderio di dare e avere di più.
Mi accorgo in quell’istante di una figura, di fronte a me, non ho quasi il tempo di capire.
“Ritardato!” urla Carlin che sta per investirmi con una spallata in pieno petto. Dal ghigno stampato sul viso si può intuire quanto ciò lo renderà felice.
Mi sposto rapido sulla sinistra torcendo il busto, come avrebbe fatto un toreador per scansare un toro. Carlin passa tra me e Sonia, sfiorandomi. Una folla immaginaria di spagnoli grida “Olé!”. Il toro quasi cade a terra mentre noi continuiamo a correre nella direzione opposta alla sua.
“Bastardo!” urlo.
Carlin riprende l’equilibrio, si volta e comincia a inseguirci.
“Vai giù di là, ci vediamo a casa” dico a Sonia indicandole la prima traversa che stiamo per incontrare sulla destra.
“Non posso lasciarti con ...”
“Sei tra i piedi, va’ ti ho detto!”
Non c’è tempo per discutere, la prendo per un braccio aumentando la nostra andatura e arrivati al bivio la costringo a proseguire sospingendola verso destra, mentre io tiro dritto. Carlin è alle nostre spalle, a una decina di metri, e come speravo tira dritto pure lui. E’ veloce, ha un anno in più e mi supera in statura e stazza. Ed è padrone di una cattiveria che mi è estranea: è il desiderio di far del male agli altri senza motivo, non lo comprendo e proprio per questo mi spaventa. Non è il momento di pensarci. Aumento la velocità e riesco a mantenere il distacco di dieci metri, allontanandomi dalla traversa.
“Idiota! Tra poco t’ammazzo!” grida ridendo ferocemente, sei metri dietro di me.
Svolto per piazza Garibaldi, poi giù, di fianco alla chiesa di San Martino.
I sei metri diventano quattro, poi diventano tre, due.
Lo sento ridere, a intermittenza, ha il fiato corto, ormai è su di me.
Abbiamo percorso strada a sufficienza, Sonia è lontana.
Basta giocare a guardie e ladri, comincio a correre davvero.

8.
Mia madre è sulla porta di casa, Sonia è con lei.
Arrivato a pochi metri da loro rallento e mi fermo.
“Oggi non hai fatto un gran tempo, mi stavo preoccupando...” dice mia madre mostrandomi una sveglia da comodino “cos’è successo?”
Non sa niente di Carlin. Meglio così.
“Niente, mà, ho solo allungato il percorso.”
“Non fermarti Pascal! Corri sul posto!” mi ordina la donna in tono semiserio. Sonia comincia a correre sul posto, mi sorride facendomi cenno di assecondarla.
Comincio a saltellare anch’io.
“E’ necessario un po’ di defaticamento” scandisce ogni sillaba di quest’ultima parola “dopo una lunga corsa, prima di un bagno caldo. Ora vado a prepararti la vasca. Poi subito su di corsa e... c’è una sorpresa in camera tua” così dicendo si avvia verso l’entrata.
“Signora!” chiama Sonia.
“Sì, cara?” mia madre si volta sulla soglia di casa.
Sonia smette di saltellare.
“Glielo deve dire. E’ venuto il momento.”
La donna trasale, la sua espressione si fa cupa. Anch’io mi fermo. Non capisco.
“Continua a correre, Pascal!” ordina mia madre.
“Mà, stai esagerando con questa storia della corsa, non pensi che...” ma Sonia mi interrompe e mi parla con dolcezza.
“Corri Mattia, per favore, è importante” è un tono, questo della sua voce, con il quale potrebbe chiedermi qualunque cosa. Mi commuove. E’ un tono che non è falso, né tenero, né autoritario, non è capriccioso, né allegro o triste. Forse non ci sono parole per descriverlo. Ma io quel tono lo sento solo come una domanda: “Mi ami?”
E la risposta è scontata. Ricomincio a correre sul posto e assisto al dialogo.
“Quanto pensa debba andare avanti questa cosa?” non ho mai visto Sonia così seria.
Mia madre esita. Guarda lei, guarda me, poi di nuovo lei.
“Pensi sia una buona idea dirglielo? Non risolverai il problema” risponde apprensiva.
Di quale problema parlano? Cosa dovrebbero dirmi?
Sonia continua “Se c’è un modo perché possa funzionare voglio cercare di trovarlo, assieme a lui. La prego, forse è possibile.”
Mi fermo “Volete spiegarmi? Se state parlando di me vorrei avere voce in capitolo.”
“Continua a correre!” imperative, sia Sonia che mia madre, a una sola voce.
Io riprendo a saltellare sul posto. Loro sorridono, guardandosi.
Mia madre sospira, ha capito che è la cosa giusta da fare, comincia a raccontare.
“Circa un mese fa, durante l’ora di educazione fisica...”

9.
Ai bordi del campo di calcetto, interno alla pista da corsa, io e Sonia avevamo tutti gli occhi della classe puntati addosso.
“Perché lo hai fatto?” ho chiesto a Sonia. La delusione stava divenendo rabbia.
“Prof” ha chiamato Sonia ancora una volta. Che cosa voleva mostrarle? Avevo qualcosa che non andava? Mi toccai il naso, per controllare se perdessi sangue. No, tutto ok.
“Sei come tutti gli altri” le ho detto. Ma più che un’affermazione era una domanda di cui non volevo sentire risposta “E ora? Vuoi un premio?”
La professoressa mi guardava in maniera strana, ha fatto qualche passo verso di me.
“Pascal” sorrideva “è meraviglioso. Che hai fatto?”
Ero arrabbiato, mi sentivo tradito e in soggezione sotto tutti gli occhi curiosi dei compagni.
“Secondo lei che ho fatto? Un torneo di briscola? Stavo correndo invece di stare ad ascoltare la sua lezione pallosa con contorno di imbecilli” ho indicato Duetti e Carlin.
“Pascal! Ma come ti permetti?!” ma la voce dell’insegnante non era quella severa che avevo sentito tante volte riprendere altri, era affettuosa, divertita. A rigor di logica, la mia uscita non avrebbe dovuto essere divertente, almeno per lei. Ma per i miei compagni lo era: esplosero in una risata incontrollabile, rumorosa, caricata all’inverosimile. Alcuni ridendo si sdraiarono su un fianco, altri si abbracciarono, era l’apoteosi della gioia. Solo Duetti e Carlin non sembravano aver apprezzato la battuta. Effettivamente non era poi così divertente. Semplice sarcasmo.
La professoressa si era avvicinata, “ora ne vedremo delle belle” avevo pensato. E avevo già in serbo un paio di battute per metterla in ridicolo senza risultare offensivo. Ero mentalmente pronto al confronto “colpirò prima le sue mancanze di insegnante, partendo dal fatto che solo ora si è accorta che non ero nel gruppo e stavo... solo ora si è accorta che stavo... cos’era che dovevo dirle? Lei prof non si è nemmeno accorta... accorta di ...”
Sonia era di fianco a me, mi guardava.
La professoressa era di fronte a me.
“Allora Pascal, che cosa è ...” ma si interruppe subito.
Io non parlavo, fissavo di fronte a me.
“Mattia?” aveva chiamato Sonia, smettendo di sorridere.
Aveva poi appoggiato una mano sulla mia spalla “Mattia... mi senti?” e cominciando a scuotermi leggermente mi supplicava “No, ti prego...”
Anche il sorriso dell’insegnante si era spento e le risate della classe si erano placate.
Sonia mi abbracciò e cominciò a piangere “Mattia...Mattia...” ripeteva singhiozzando.
Io non replicavo. Rimanevo immobile, con un’espressione assente sul viso.

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