martedì 25 dicembre 2012

La fruttivendola di via Orfeo


Fa freddo. Il respiro si condensa nell'aria. Fingo di soffiare fumo. Ho smesso con le sigarette da un paio d’anni ma ne ho ancora il desiderio. Uno stato di insoddisfazione permanente. Cammino a passo spedito, con le mani ficcate nelle tasche del cappotto pesante, la sciarpa di lana avvolta attorno al collo, il berretto calato fino alle sopracciglia.
Via Orfeo stasera è buia, capita raramente che per un qualche guasto manchi la luce nel quartiere bolognese.
Non scorgo luci alle finestre sopra le colonne del portico e, ancora più in alto tra le due fila di palazzi, non vi sono né luna, né stelle, né cielo.
In lontananza, nell’oscurità più totale, riconosco un piccolo quadrato luminoso: è la fruttivendola di via Orfeo.
Mi avvicino alla cornice, guardo al suo interno attraverso la vetrina, entro sospingendo la porta che avevo trovato socchiusa.
La fruttivendola è un’anziana signora, minuta, arzilla ma sempre molto composta e padrona di una dignità che sembra andata perduta nel tempo. Si tinge i capelli di castano biondo ma è una cura, questa che si concede, che non è mai appariscente: è il suo colore, quello che è stato e quello che sarà sempre, come in un quadro. Il suo nome è Antonia.
“Buonasera” chiudo la porta alle mie spalle.
“Buonasera” di rimando la signora, con un’occhiata veloce, mentre serve un ragazzo al quale si rivolge seria e decisa “dopo le carote, cosa desidera?”
Il cliente, uno studente universitario allampanato e trasandato, con una borsa a tracolla su una spalla e un paio di libri stretti al petto, risponde incerto “nient’altro”, con un filo di voce appena percettibile.
“Come dice?” urla la signora sorprendendo sia lui che me “Voce!”
“Niente, grazie” bofonchia un po’ più forte lo studente.
Io cerco di frenare il sorriso. Lui paga ed esce senza salutare, contento come se avesse superato un esame difficile.
E non chiude la porta. Mi avvicino io, allora, e la richiudo. Guardo fuori nella via buia.
Il nulla. E un ragazzo che viene inghiottito dal nulla.
Voltandomi sono invece accolto dal colore di agrumi gialli e arancioni, avanzo di un passo tra pomodori rosso vivo, divisi per tipo nelle cassette di legno, e colgo la fragranza delle altre verdure disposte in un angolo verde intenso.
Mi sembra quasi di star meglio.
Dico “quasi” perché in realtà anche lì dentro fa freddo. E fa freddo perché, di tanto in tanto, qualcuno non chiude la porta.
Ma come fa questa esile signora a resistere al gelo?
Alle mani ha dei guanti di lana che però non coprono interamente le dita. I polpastrelli le servono liberi, per poter afferrare frutta e verdura, per poterla tastare e verificarne il livello di maturazione e così dare, ai propri clienti, solo i prodotti migliori della terra. Non sto esagerando, è proprio così!
Una volta mi disse che la bassa temperatura aiuta a conservar meglio la merce. Aveva aggiunto, di spalle mentre spostava una cassetta di limoni, che “per non patire il freddo bisogna darsi una mossa!”
Ma io credo l’avesse detto perché lagnarsi non fa parte della sua natura. Non si lamenta mai. Combatte. Non ha più la forza fisica della giovinezza ma, sì, lo spirito è sempre quello. E ne ha viste, la signora Antonia, affrontando tutto con coraggio: la guerra, la perdita del marito, la partenza dei figli, l’apertura di nuovi supermercati e la crisi che ha decimato i piccoli negozi come il suo.
Tutto cambia ma lei resiste, tenace, resiste da sola, resiste al mondo avverso, resiste a tutti noi.
"Una volta la gente era più grintosa, è vero o no?" mi chiede.
“Sicuramente più grintosa ed educata” le rispondo prontamente.
Quando entro in quel negozio, presto sempre molta attenzione alle parole che ci scambiamo, cerco di restare concentrato. E’ uno stato d’animo che mi piacerebbe avere costantemente, con chiunque io incontri, ma che non riesco a mantenere lungo la giornata. Sono sicuro ci sia stato un tempo in cui rischiavi la vita, se non rimanevi concentrato. Forse, questa della signora, è l’ultima generazione di quelli che riescono a rimanere sempre vigili e vivaci, l’ultima generazione prima dell’apatia e dell’insofferenza dati dal benessere.
“Cosa Le do?”
“Quattro pomodori, per favore.”
Quando si rivolge ai clienti, la fruttivendola dà sempre del "Lei". Anche a me che ormai vengo qui da una decina d’anni. In passato questa formalità mi risultava esagerata. Ero un suo cliente abituale, dopotutto. Ho anche provato a darle maggior confidenza ma non è servito, ha continuato e continua a darmi del Lei. Solo con il tempo ho capito che un protocollo rigoroso come questo proveniva da un'altra epoca: un periodo in cui si era, o quantomeno si cercava, di essere Signori. Ora può essere erroneamente inteso come un modo per sopravvivere, quando lavori a così stretto contatto con persone fatte di tutt'altra pasta.
“Poi, che altro?”
“Vorrei quattro o cinque mele” guardo alle mie spalle.
“Quattro o cinque?” mi chiede, avvicinandosi.
“Quattro” le rispondo subito, tornando su di lei.
“Di che tipo?”
“Golden.”
La mia prima richiesta era stata generica, sia sulla quantità che sulla qualità della merce, per fortuna avevo poi saputo dare risposte rapide e concise. In passato, nella stessa situazione, avevo tentennato ed ero stato ripreso con una frase di questo tipo: “Su avanti, giovanotto, tra poco devo chiudere il negozio, è venuto qui sapendo cosa vuole o no?”
Uno spasso. E una palestra di vita, tanto vivace quanto impietosa.
“Poi, cosa le do?” mi chiede.
“Sei di queste arance.”
La signora le sceglie una per una. Di guaste, non ne vedo, eppure riesce ad effettuare una precisa ed immediata selezione delle sei più belle arance della cesta.
Nel frattempo entra una ragazza, sui venticinque anni. Ha un cappotto marrone e capelli che escono dal berretto di lana verde, ricci, lunghi fino alle spalle.
E’ attraente.
“Ah, che fortuna!” esordisce sorridente “Oggi sono proprio fortunata!”
Sia io che Antonia spostiamo lo sguardo sulla nuova venuta.
“Come mai è fortunata?” chiede la fruttivendola infilando l’ultima arancia nella busta.
“Vedo che sono rimaste ancora un po’ di cime di rapa, solitamente a quest’ora non le trovo mai.”
Io e la signora torniamo alla nostra compravendita mostrando poco interesse alla risposta.
“Dopo, cosa Le posso dare?” mi chiede.
“Mi dia tutte le cime di rapa rimaste.”
La ragazza si lascia sfuggire un gemito; mi volto, mi sta guardando tra lo stupito e il dispiaciuto. E’ buffa.
Sia io che la signora sbottiamo a ridere di gusto.
“Stavo scherzando” la rassicuro “sono a posto così.”
“Ci sono proprio cascata” mi dice la ragazza sorridendo.
“Scusami, non ho resistito.”
“Dovrà farsi perdonare” interviene la signora. Mentre sta battendo lo scontrino ancora sorride e sotto sotto me ne compiaccio, sento di aver usato quella stessa vivacità che l’ha sempre contraddistinta.
Le porgo una banconota di piccolo taglio, lei cerca il resto tra le monete, le porta una a una a pochi centimetri dagli occhi. Io guardo la riccia, che mi sorride.
“Che ne dici se mi faccio perdonare con un caffè?” le chiedo. Non sembra sorpresa.
“Mi sembra una buona idea. Mi aspetti?”
“Certo” prendo il resto e la spesa.
La fruttivendola mi strizza l’occhio. Ho la sua approvazione.
Non sento più freddo.

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