domenica 23 settembre 2012

La Settima Nota

« Sì, devi girarlo! » mi dicono « Giralo! »
Io guardo i compagni di terza elementare che sono a fianco, non capisco. Il pubblico bisbiglia, ridacchia, guarda noi sette, illuminati nel buio della grande sala. La maestra chiama il mio nome, la vedo fare strani gesti a lato del palcoscenico.
Cosa vuole?
Il brusio aumenta di intensità, le risate si fanno più forti.
Cosa volete tutti?
Guardo i miei genitori seduti tra il pubblico, anche loro sorridono e mio padre si tocca il petto più volte. Mea culpa, mea culpa, mea grandissima culpa.
Perchè mi avete costretto a venire qua?


Un paio d’ore prima ero a casa, spaparanzato sul divano. Alla televisione davano una puntata del telefilm “Manimal”, l’uomo mutaforma che può divenire giaguaro, pitone, falco: respira con calma, trova la giusta concentrazione, per trasformarsi.
Inspira profondamente. Espira profondamente.
Chiamano per cena. Rinuncio alla trasformazione.
Ci sediamo a tavola e mangiamo.
Il telegiornale finisce e i nostri piatti sono vuoti. Mio padre si è acceso una sigaretta. Mamma ha cominciato a sparecchiare.
« E anche stasera abbiamo mangiato » dice mio padre, io annuisco sorridendo « come è andata oggi? » mi chiede.
« Bene » rispondo pronto « ho preso B in storia! »
« E perché non hai preso A? »
Mio padre è sempre molto serio ed esigente quando si parla di scuola. Ha abbandonato gli studi dopo la terza media ed è andato a lavorare in campagna col nonno. Solo in seguito, quando ha visto colleghi più giovani percepire uno stipendio più alto, facendo lavori meno faticosi, si è reso conto dell’errore commesso: avere interrotto gli studi è uno dei suoi grandi rimpianti. Ora non vuole che si ripeta.
« Mi raccomando, studiare è importante, devi pensare solo a questo. »
« Lo so papà, studio! »
« Hai qualche interrogazione nei prossimi giorni? »
« No, nessuna. Anche se... » mi convinco non ci sia niente da nascondere, saranno d’accordo con me che non è importante « stasera c’era il saggio di musica. Ma non vado. »
Si voltano verso di me, allarmati, con una reazione che non mi aspettavo.
« Il saggio di musica? E’ stasera? » chiede mia madre nel panico.
« A che ora comincia? » esige di sapere mio padre.
« Alle nove e mezza ma... » balbetto « non importa, non sono pronto, non ci voglio andare. »
« Tu ci vai » lapidario « se usciamo fra poco siamo ancora in tempo. » Il padre si alza dalla sedia e si appresta a seppellire nel ridicolo il proprio unico figlio.


***


La clavietta è, assieme al flauto dolce, uno degli strumenti più temuti della storia. 
Gli studiosi sono concordi nel farne risalire l’invenzione al tardo Medioevo, ad opera del tedesco Frank Xaver Mohr.
Mohr aveva ideato una prima versione della clavietta come giocattolo per il figlio: si trattava di una piccola tastiera con sei tasti che funzionava come strumento a fiato. In questo modo, pensava Mohr, il bambino si sarebbe avvicinato allo studio del pianoforte classico, divertendosi. Ma il figlio si suicidò. Mohr, disperato per la perdita, decise di lasciare la famiglia e intraprendere il percorso della fede che lo portò a divenire, nel giro di un decennio, vescovo della Chiesa cattolica e maestro di torture della Santa Inquisizione.
Non appena nominato inquisitore, si preoccupò di rinnovare le metodologie e la strumentazione utilizzate nella tortura. “Per ottenere una vera e sincera confessione,” leggiamo da alcune pagine di un suo diario, “è necessario parlare all’anima dell’inquisito, non solo al corpo”. Mohr, che aveva conservato il giocattolo del figlio, riprese quel primo rudimentale modello e lo modificò, collegando un tubo mobile alla tastiera. In questo modo risultava agevole fissare il tubo alla bocca dell’inquisito. Lo strumento veniva utilizzato in combinazione con altri arnesi di tortura come fruste, flagelli e schiacciadita: la vittima urlava dal dolore e soffiava involontariamente nel tubo collegato alla tastiera. Il boia modulava il suono in uscita pigiando i tasti, creando un inquietante sottofondo musicale. Proprio i boia richiesero l’introduzione della settima nota e dei tasti neri, per suonare partiture più complesse e famose.
La clavietta raggiunse così la massima diffusione in tutta Europa mentre il suo inventore, divenuto tanto famoso quanto temuto, venne soprannominato “Mohr Tua”.
Solo in un secondo tempo lo strumento divenne obsoleto. Alcuni anni dopo la morte di Mohr, gli inquisitori si resero conto che i torturati non avrebbero mai potuto confessare: il tubo fissato alla bocca glielo impediva.


***


Fino all’ultimo avevo sperato fosse troppo tardi, avevo cercato di cambiarmi lentamente, di prendere tempo in bagno, di dimenticare lo strumento. Niente da fare. Quando vuoi che il tempo passi velocemente, la lancetta dei secondi rallenta, si ferma, ti concede tutto il tempo di fare quello che sei costretto a fare.
Usciamo. Siamo in macchina. Arriviamo e troviamo subito parcheggio. Che fortuna.
I miei compagni sono già pronti a salire sul palco. La maestra, vedendomi arrivare, si illumina.
« Oh, meno male che sei venuto... mancava il settimo! » non si ricorda il mio nome, la cosa non mi stupisce, ci siamo visti solo alla prima lezione. Mi spiega l’entrata in scena e come si svolgerà l’esibizione musicale. Parla senza pause, io spero mi insegni a suonare in quei due minuti a nostra disposizione ma non succede.
« Maestra, io non ho studiato molto, non so cosa devo fare, non so suonare » le dico candido. La verità è sempre la migliore soluzione, bravo, ho fatto bene a confessare. Sto diventando grande, sono fiero di me.
« Non ti preoccupare, l’importante è che siate in sette, fai quello che fanno i tuoi amici. »


Quello che fanno i tuoi amici.
Io avevo saltato tutte le lezioni pomeridiane di musica per andare in sala giochi. In quei mesi era arrivato un nuovo videogame, “Ghost n' Goblins”: un cavaliere barbone con armatura che combatte zombie per salvare la sua bella. Mentre i miei diligenti compagni di classe pigiavano note con la maestra, preparandosi al saggio, io mi attaccavo al joystick e pigiavo sui pulsanti per fare fuoco, come se la mia vita fosse dipesa veramente da quel gioco virtuale.
Lezioni di musica? Dovevo salvare la principessa, io!
La clavietta la suonavo solo per conto mio, a casa, creando una specie di jazz immaturo e malinconico: se sentivo la nota che cercavo, la tenevo, vi ritornavo; se invece sbagliavo nota, passavo alla successiva, cercando riff strani e stonati che andavo a ripetere più volte. Sono sicuro che qualche boia, ai tempi di Mohr, deve aver avuto la mia stessa sensibilità.


Ora però la gente sghignazza, i miei compagni si toccano il petto,
Mea culpa, mea culpa, mea grandissima culpa,
sorride persino la maestra che continua a gesticolare. Io rimpiango di aver sprecato tutto quel tempo in sala giochi per una principessa che non aveva mai chiesto di essere salvata. Continuo a non capire, cosa dovrei fare secondo loro? I miei compagni hanno già suonato, no? Ho fatto finta di suonare con loro, imbroccando qualche nota.
Cosa volete di più?
Cosa volete tutti da me?
Allora provo da solo e comincio. Prendo maggior coraggio, soffio più forte. Comincio da note basse, risalgo lentamente. Trovo uno dei miei riff, lo ripeto, poi lo modifico, lo lascio per poi ritornarvi. Il mormorio comincia a placarsi. Nessuno avrebbe mai pensato che uno di quei bambini potesse improvvisare un assolo jazz. Così, dal nulla.
Tutti restano in silenzio. Sento di averli in pugno.
E’ il mio grande momento.
“Fatelo smettere, per pietà!” una voce si è levata nell’oscurità e viene accolta da uno scroscio di applausi e risate che sovrastano il suono della clavietta. Smetto di suonare, guardo in basso il legno del palco, sconsolato, la vista mi si appanna. Vorrei alzare gli occhi verso i miei genitori ma sono certo stiano ridendo anche loro. Sento che le lacrime stanno per ultimare questo capolavoro dell’umiliazione mentre le risate e le grida in sala non si arrestano.
In questo momento vorrei essere Manimal, trasformarmi in uccello e volare via, lontano, oppure divenire un giaguaro e divorarli.
Inspiro profondamente. Espiro profondamente.
« Devi girarlo! » mi ripetono « Si, giralo! »
Mi accorgo che gli altri bambini, i sei compagni al mio fianco, hanno un cartello appeso al collo con una cordicella. Su ogni cartello vi è riportata una nota musicale, a grandi caratteri scritti a mano. Li passo in rassegna uno ad uno: “Do”, “Re”, “Mi”, “Fa”, “Sol”, “La”. Il “Si” è appeso al mio collo, dietro la schiena. Gli altri hanno girato la propria nota al segnale convenuto mentre io, preso dal panico di dover salire sul palco, me ne sono completamente dimenticato.
Inspiro profondamente. Espiro profondamente.
Tu, maestra, che hai ideato questa cazzata, sarai la prima ad essere sbranata.

2 commenti:

Matteo Saltori ha detto...

Come già detto in altra sede, bel racconto. Non potevo non passare anche di qua, dopo la modifica di GnG. Con calma mi leggerò il tuo blog, mi piace come scrivi.
ps: per la birra allora mi metto in coda...

Bibi ha detto...

oh ma che tenerezza.
quella maestra è morta tra atroci sofferenze vero?